“Se una regola c’è” cantava Nek. Ebbene in qualche annetto di serie tv qualcosa l’abbiamo imparata e “se una regola c’è” è che per una serie rinnovata ce ne sono almeno dieci che vengono cancellate. Per il nuovo anno sono previsti circa 480 titoli tra serie e miniserie e, calcolatrice alla mano, i numeri non sono confortanti per le serie a rischio.
Ma perché così tante serie andranno incontro alla cancellazione?
I motivi sono svariati e se pensate sia solo una questione di poco seguito, siete fuori strada.
I costi
La concorrenza si fa agguerrita. Ogni investimento per queste aziende prevede a monte un’analisi costi benefici e se il gioco non vale la candela la serie salta. C’entrano relativamente gli ascolti o la qualità, c’entra piuttosto il vil danaro.
La case history di questi anni è Sense 8, con Lana Wachowski che nella seconda stagione ha fatto lievitare fino a raddoppiarlo il costo di ogni singolo episodio della serie, portandolo inevitabilmente alla cancellazione.
Funziona così ovunque e se guardiamo in casa Amazon scopriamo che nel 2020 non rivedremo più The Romanoffs, complessa serie antologica con più di qualche velleità cinematografica, sfornata dai creatori di Mad Men, cancellata per motivi analoghi. Ma non c’è da prendersela. È in ottima compagnia.
Amazon ha infatti cancellato anche Too Old to Die Young, serie thriller drama passata anche per Cannes di Nicolas Winding Ref, acclamato regista di Drive. Forever, serie comedy di otto episodi creata da Alan Yang e Matt Hubbard. Ma anche Lore, Patriot e, dulcis in fundo Goliath rinnovata per una quarta stagione ma che sarà l’ultima.
Tanti tagli insomma, alcuni dolorosi, per fare all-in su Jack Ryan e sulla serie de Il Signore degli Anelli.
I tempi di realizzazione
Che ovviamente ci riportano alla questione costi, ma meritano un paragrafo a sé.
Come non partire subito da The OA. La prima stagione va bene, divide il pubblico quanto basta da far urlare alcuni al capolavoro e altri all’orrore. E, si sa, il “purché se ne parli” funziona sempre, quindi Netflix annuncia subito un The OA: parte II che, però, arriva due anni dopo. Ma questa era solo la punta dell’iceberg.
Perché, nonostante un concept definito dal 2012, la prima stagione aveva già vissuto una gestazione di 2 anni tra il suo annuncio e il lancio della prima stagione sulla piattaforma streaming. Brit Marling e Zal Batmanglij avevano previsto un arco narrativo di cinque stagioni da otto episodi l’una.
Con la concorrenza delle altre piattaforme di streaming sempre più agguerrita Netflix non se l’è sentita di continuare a rischiare su prodotti non mainstream come Stranger Things o la Casa di Carta (entrambe rinnovate).
Ne hanno fatto le spese anche serie con un buon seguito come Chiamatemi Anna e serie con grandi nomi a metterci la faccia, come la serie horror con Uma Turman, Chambers, e quella horror commedy Santa Clarita Diet che vede protagonisti Drew Barrymore e Timothy Olyphant, per non parlare di She’s Gotta Have It di Spike Lee.
Quanto a The OA è entrato (per ora) ad arricchire le fila di quelle serie prematuramente cancellate ben lontane dall’aver messo un punto alla propria narrazione. Come The Divorce, che ha segnato il ritorno sul piccolo schermo di Sarah Jessica Parker, o The Perfectionists, lo spinoff di Pretty Little Liars, cancellate dopo una sola stagione.
Rinnovi di attori e showrunner
Non sempre le produzioni riescono a portare a termine i rinnovi di contratto di attori e sceneggiatori. Più una serie incontra il favore del pubblico o critica, meritandosi il rinnovo e più le parti coinvolte chiedono di rivedere il proprio compenso livellandolo verso l’alto.
Accade così, per esempio, che gli sceneggiatori minori delle prime stagioni di Lost abbandonino il gruppo di lavoro per andare a ricoprire il più prestigioso ruolo di showrunner di nuove serie in uscita, con inevitabili conseguenze sulla qualità di qualità che hanno abbandonato.
Allo stesso modo si spiega il minutaggio estremamente ridotto di Lena Headey nell’ultima stagione de Il Trono di Spade: figlio di un contratto blindato da 48.000 dollari al minuto.
Senza dimenticare che i contratti a volte si rompono, vedi Netflix con Kevin Spacey in House of Cards, e a volte semplicemente si esauriscono, lo show ha fatto il suo tempo e nessuno reputa nel reciproco interesse di proseguire.
Né più né meno quello che è successo a Fox e alla crew di Empire, che si fermerà all’episodio 100, o alla ABC con Le regole del delitto perfetto.
L’ultima speranza
La speranza, si sa, è l’ultima a morire.
Avendo citato Sense 8 non possiamo non ricordare che la rivolta dei fan dopo la chiusura dello show portò Netflix alla realizzazione di uno special televisivo, un lungo episodio che ne concludesse le trame ancora aperte.
Storia analoga oggi tocca a Lucifer: dopo tante polemiche sui social la quinta stagione si farà ma sarà l’ultima.
Sollevazioni simili non sono rare all’estero, dove i fan si sono mobilitati con scarso successo anche contro le cancellazioni delle serie Marvel / Netflix Daredevil e Jessica Jones, ma si sono avute recentemente anche da noi con la serie SKAM Italia, remake all’amatriciana dell’omonima serie norvegese.
Cancellata dopo la terza stagione da TIMVision, SKAM Italia ha trovato casa su Netflix che ne ha co-prodotto una quarta stagione.
Insomma tutti sperano che la rete colpevole torni sui propri passi o ceda la serie a qualche altra piattaforma. Ma sono casi tutt’altro che semplici e a volte la rete che cede rischia di restare piuttosto scottata.
È accaduto in tempi recenti anche a Netflix, quando ha cancellato la serie Syfy The Expanse dopo solo 2 stagioni, passata poi a Prime Video che ne ha prodotto con successo altre 3.
Ecco perché ora Netflix blinda le sue opere (The OA, Deredevil, Jessica Jones…) con clausole che ne impediscono, in seguito alle cancellazioni, la creazione di nuove stagioni da parte di altre parti per un periodo di tempo definito.
Nulla che non possa essere aggirato attraverso il pagamento di una penale. Ovviamente però il gioco deve valere la candela. Perché ai fan potete togliere tutte le serie che volete ma non la speranza.